CASTELLO CARLO V
Come il castello di Lecco, di manzoniana memoria, anche in questo aveva l'onore di alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli che, se non erano tutti nativi di Spagna, "nazione di eroiche virtù", a quelli però somigliavano. Come una città del sud assomigliava moltissimo a una del nord, se aveva un congruo numero di conventi, un castello, e l'onore di stare sotto gli Spagnoli.
Il castello di Monopoli, costruito sulla striscia di terra piú avanzata rispetto al mare, faceva parte del sistema di fortificazione costiera, voluto da Carlo V in Puglia, e per lui curato dal vicerè piú illustre della serie, quel Don Pedro di Toledo, della omonima, storicissima via di Napoli. Ma altri fanno il nome del marchese Don Ferrante Loffredo, che risiedeva a Lecce, e indicano l'anno 1552 per la fine dei lavori.
Il castello ha la forma pentagonale, tipica dei fortilizi cinquecenteschi, ma sembra abbia incorporato una torre cilindrica preesistente, di forma romana, che conferisce un rilievo singolare all'ingresso e alla facciata stessa. Incorporati risultano anche i sotterranei, che comprendono tra l'altro l'antica chiesa basiliana di San Nicola della Pinna, divenuta la chiesa della fortezza. Si chiamava cosí perché era sulla punta (pinna) della penisola che sporge sul mare, insieme al convento fondato, nel secolo X, da un monopolitano in crisi mistica dopo la morte della moglie. Una chiesa interessante, a una sola navata, con abside e cupola centrale.
Prima di diventare un carcere, a partire dal secolo scorso e fino agli anni Cinquanta di questo, il castello fu il palazzo della piú alta autorità militare in questa città. Uno storico di qui, del Settecento, il quale tiene a precisare che "metà" di questo castello "è dentro il mare", riferisce che ai suoi tempi "sotto di esso" si faceva "la pesca dei coralli in abbondanza". Ma il prodigio dei coralli, stando al suo racconto, era niente in confronto alla persona del Castellano d'allora, "D. Martino Coquemont, colonnello degli eserciti di Ferdinando IV, uomo di cento e uno anni e mesi cinque, finché io scrivo in questo maggio 1773". Infatti era nato "in Bruxelles, nel Brabante, il primo di gennaio 1672". Questo attaccamento di Don Martino alla vita non fu probabilmente piú forte dell'altro che lo tenne qui, cosí a lungo, legato a questo castello sul mare e a questa città. Dopo di lui, altre illustri autorità forestiere, innamorate della città, non se ne andranno piú da Monopoli.
Dalla piazzuola dei Castello si prosegue per il lungomare San Salvatore: una strada a forma di balcone sull'Adriatico. Si passa dai resti del bastione di Santa Maria al doppio log-giato di un edificio, noto come il palazzo dell'Andora, forse l'antico Palazzo del Comune. Segue il largo antistante la chiesa di San Salvatore, antica chiesa parrocchiale, abbandonata e in rovina, dopo essere stata spogliata delle sue icone dorate del Quattrocento e del Cinquecento. Costeg-giando ancora la spalletta sul mare si giunge all'imbocco della via San Vito che scende a sud ovest lungo il tratto delle mura rimaste ancora in piedi all'interno della città vec chia. A destra la chiesetta di San Vito, che dà il nome alla strada, quindi l'imbocco a vie traverse che immettono nel borgo antico. La terza di queste comincia con l'edificio che fu dei Cavalieri di Malta e conduce a una piazzetta centra lizzata sul tempietto degli stessi Cavalieri, dedicato a San Giovanni. Anche questa chiesa aveva il suo bel polittico veneziano.
A sinistra le mura di Carlo V, quindi l'uscita dalla città an tica nel punto dove sorgeva anticamente la Porta Vecchia, chiamata anche, dagli storici locali, Porta Foca perché si di ceva costruita ai tempi dell'imperatore Foca di Bisanzio. Di qui la strada che portava e conduce tuttora ad Egnazia. Usciti sul litorale e sulla spiaggia, che ha preso il nome da quella porta, la piú antica della città, si può ammirare la cinta murarla di quel promontorio sul mare che fu il nucleo originario di Monopoli e che le mura di Carlo V fanno apparire come una nave di pietra che fende le acque. La muraglia ad ovest conserva ancora un brandello dell'antica cintura e del fossato, visibile dal breve tratto di strada che serve le case a ridosso delle mura e all'ombra del campanile della cattedrale.
CASTELLO SANTO STEFANO
Un'altra cittadella in una terra dove costruire significava un tempo mostrare a tutti il viso dell'arme. Oggi lo fa solo il custode, quando non gli va a genio il passeggero. L'abbazia castello è in-fatti, piú che mai, inserita nella vita pubblica, specie nei mesi estivi, quando la spiaggia brulica di bagnanti. Allora vive anch'es-sa la sua stagione d'oro, come la vive il suo proprietario. Altrimenti starebbe, come tanti monumenti, relegata a scontare chissà quali peccati. Anche il camping, che allunga a sud il movimento turisti-co, porta linfa vitale alla natura e all'arte.
Con i Benedettini, dal sec. XII al XIV, l'abbazia fu all'apice della cultura umanistica e artistica. I Cavalieri di Gerusalemme, che vi s'insediarono nel Quattrocento, la trasformarono in un castello chiuso dalla cinta muraria e dal fossato. I privati, che l'acquistaro-no al tempo di Murat e delle sue leggi antifeudali, ne fecero una masseria.
Il visitatore trova comunque agevolmente le cose che meritano d'essere viste. Il portale della chiesa romanica lo accoglie al primo ingresso nel cortile. Anzi gli dice di entrare senza timore ("Intra, ne dubita..."). Dal cave canem delle ville romane ne è passato di tempo sino ai cani delle masserie. L'abate si chiama Riccardo e viene ricordato come homo mitis. Questo nel 1236. L'abbazia di-sponeva di rendite terriere cospicue per permettersi di ricostruire e di onorare degnamente la sua chiesa. Se non sono venuti i mae-stri federiciani a lavorare la pietra, questi del portale di S. Stefano fanno sentire ugualmente la moda classicheggiante in auge nel regno di Federico li. Si osservino i volti degli angeli che spuntano sui capitelli in mezzo alle foglie d'acanto. Nella lunetta vediamo Cristo in trono col Vangelo sulle ginocchia e in atto di benedire, mentre a' piedi si prostrano due mini figure in adorazione, forse l'abate Riccardo e un altro del convento. Ai lati di Cristo, S. Stefano e S. Giorgio, il sacerdote a sinistra, a destra il guerriero. Il tipo di bassorilievo e la scansione delle figure nello spazio vuoto che ha la funzione luminosa del fondo d'oro dei mosaici, ci riporta-no anch'essi a modelli classici, per es. i sarcofaghi ravennati.
L'interno aveva un degno riscontro rinascimentale alla cultura romanica ed era il polittico, ora nel Museo di Boston, venuto da Venezia insieme a tante altre tavole dorate, che arricchirono nel Quattrocento le chiese di Monopoli e di Puglia.
La visita ha un altro punto di riferimento importante ed è la chiesa rupestre, vicinissima a quella romanica, a conferma delle origini comuni di tanti altri monumenti sia all'interno della città di Monopoli che nell'agro. Si scende per mezzo di una scala in quel la che potrebbe essere la primitiva chiesa benedettina, preesisten te comunque alla fondazione dell'abbazia, avvenuta nella seconda metà del sec. XI, con l'abside a sinistra appena si entra e un pila stro al centro dell'intero vano che consente l'apertura di tre archi e con essi l'articolazione interna in spazi e ambienti.
Per il ritorno in città si prende la strada comunale, l'antica via del Procaccio, che si apre a destra per chi esce dal ca stello. È una strada sul mare a ridosso delle numerose cale che si susseguono, quasi tutte spiagge libere sulle quali si riversano i bagnanti d'estate. Si giunge al Copacabana, un complesso di sale per ricevimenti, dotato dei piú moderni e qualificati servizi, compresi il bar e il ristorante. Sorge nell'a rea piú fitta di cale, dove si è installato di recente un notevo le impianto sportivo.
La strada prosegue, sempre costeggiando il mare, fino a raggiungere i "porti" che si aprono fin sotto le mura cittadine, Porto Rosso, Porto Bianco, Portavecchia. Qui ha termine il "gran tour", il lungo itinerario per i dintorni che, se non com prende tutto quello che il territorio offre, consente tuttavia di conoscere le cose piú importanti. Il giro inoltre s'identifica con il perimetro di una megastruttura urbanistica, che aspet ta un piano strategico per configurarsi come la città del futu ro, che non sia la semplice espansione a macchia d'olio dei sobborghi urbanizzati. Il visitatore avrà avuto modo di cono scere e valutare quanto sia prezioso il patrimonio storico ambientale. Spetta a chi di dovere ora organizzare gli spazi per tutelarne l'integrità e la corretta fruizione. La "città per l'uomo libero", che fu la proposta lanciata, sono passati piú di vent'anni, da urbanisti malati, si disse, di utopia, non è da inventare. Esiste nelle risorse del territorio. Qui sono i monumenti "nuovi" e i nuovi spazi pubblici sui quali co struire la trama urbanistica del futuro. Esiste una land art o arte della terra nella tradizione, un'arte ecologica da colti vare e tutelare per la città di domani, che possiamo defini re del "tempo libero".
Sono le spiagge, i villaggi turistici, le masserie, le ville, le contrarle, le lame, gl'insediamenti rupestri, le torri costiere, i castelli, gli scavi archeologici. Fino a quando gli equilibri (ambiente e opera dell'uomo) non saranno sconvolti, sarà possibile costruirvi una città per la regione e per l'Europa di domani. Se si studia e si capisce la storia di una città euro pea, diventa piú facile vederla e costruirla nelle necessità e nelle dimensioni del futuro.